venerdì 30 dicembre 2016

L'albero di Yule


Quando le radici di un albero in decadenza, diventano fragili, occorre camminarci su, in punta di piedi, con la dovuta delicatezza.

Quell’albero, seppur al limite del suo ciclo, può sempre farci apprezzare la forza essenziale presente nella sua ultima linfa. Senza quella linfa come farebbe un albero a vagire l’ultimo distacco?

Puoi girargli intorno al tronco, spiegandone ogni passo, seguendo l’ampiezza della sua proiezione sul suolo e poi raccontarlo con i battiti lenti delle stagioni.

In questo modo, ho scoperto, che basta contare sette piedi per poter marcare un punto cardinale sul cerchio della sua espansione epigea.

Con tale strategia potrei riconoscere il piglio di un albero mentre esegue i movimenti dell’universo; avere un istante per segnare una tacca sullo zenit del suo firmamento, ricevere l’ombra delle meridiane o addirittura riconoscerne la sua generosità.

Potremmo definire lo spazio e il tempo della sua romantica presenza. Potremmo annotare le sue coordinate per ritrovarlo facilmente insieme con gli altri, al nostro ritorno.

Così potrei percepire il suo stato e riferirlo al suo custode, perché possa poi descriverlo, classificarlo, difenderlo, adottarlo o chiamarlo semplicemente per nome.

Il fascino di questo regno inizia con le classi botaniche, con lo studio della sua anatomia, della sua fisiologia, quindi, dei suoi organi, delle loro funzioni o della sua vulnerabilità così simile a quella umana.

Si giunge così a riflettere al suo equilibrio funzionale, alla sua germinazione, al suo sviluppo giovanile fino a quello d’adulto che coincide con la fioritura e quindi con la riproduzione delle sue cellule.

Quando si tratta di ritagliare notizie, da una comunità arborea, per noi osservatori, è quasi un gioco da ragazzi. A volte, ricavi quelle informazioni cruciali che ti aiutano a capire le reali intenzioni di un amministratore sul destino di un’alberatura urbana.

In quei momenti, ti rendi conto che puoi fare qualcosa, come ad esempio, quello di vincolarsi a una pianta prima del suo atterramento senza passare da alcuna pedante supplica.

Le periferie sono espresse dagli alberi che delimitano le nostre speciali residenze. In alcuni paesi, ci sono evidenti fenomeni di desertificazione urbana; ti accorgi all’istante, che quella strana incuria degli alberi non è altro che un disegno voluto solo da quei pochi eletti.

Nonostante tutto, non dimentichiamo che oltre ai palazzi di tufo e calcestruzzo, alle discariche abusive e ai fumi molesti ci sono anche gli habitat delle biodiversità, delle foglie, dei nidi preziosi e silenziosi.

In questa terra è molto facile evadere per le campagne, percorrere olivi, tratturi e masserie, educarsi ambientalista, indossare uniformi e accorrere in loro difesa. Allontaniamoci un attimo dagli scalpitii cittadini per andare tra i boschi.

Le volpi, le api e gli uccelli selvatici si attestano sempre vicino alle fonti d’acqua, in quei microcosmi comunque favorevoli al mantenimento della loro specie.

Per loro è certamente meglio bere da un lago pulito che da una lurida pozzanghera di cemento.
Allora, quale migliore copertura di un grande albero che offre la vita?

Trapiantiamo alberi, quindi, in cerca di protezione, di frutti, d’aria pulita e reclamiamo, quegli alberi splendenti che ci hanno strappato per far posto a una colata di grigio bitume.

Quando ti sottraggono un albero, è come perdere quel nastro magnetico del motivo che rappresenta la colonna emotiva del tuo più dolce ricordo.

Eppure, sono quasi certo, che avrai inciso qualcosa sul suo robusto tronco, all’altezza del tuo cuore. Un giorno, chissà, ci chiameranno a piantare alberi anche sulle nuvole.

Le nostre prime umili dichiarazioni d’amore sono state scolpite sul torace degli alberi. L’albero esprime quella naturale unità che ricerchiamo con veemenza quando ci accorgiamo di non averla più. In nulla si crede quanto nell’unità.

Gli alberi si rispettano perché il loro corso è mediamente più lungo riguardo a quello di un essere umano. Gli alberi si rispettano perché hanno molte più storie da rivelare.

Settecento anelli fa, sulla Serra del Mito, nel Salento, cento cavalieri, si radunavano sotto l’ombra di una quercia di vallonea, per attendarsi e poi decidere dove andare.

A fine ottocento, ancor prima delle celebri lotte contadine, le quercete dell’Arneo, sarebbero state rifugio, per quei briganti-partigiani che reclamarono la sovranità a coltivare al nuovo latifondo emergente.
Come farebbe un bambino nella sera della vigilia di Natale, continuerei ad addobbare preferendo la tua quercia al comune abete artificiale di un focolare borghese.

Rimarrei ancora qui, ad associare a ogni suo ramo la presenza di ogni volto che dalla sua vetta ha ammirato la sua munificenza.

Sarebbe l’albero di Yule per le tradizioni precristiane dell’emisfero settentrionale, quali quelle celtiche e germaniche chiamando questa ricorrenza come solstizio d’inverno. Lo Yule doveva essere un giorno veramente speciale.

Ogni anno, prima dell’avvento cristiano, questi popoli riservavano tale periodo alle loro divinità.
Lo Yule, uno degli otto giorni solari, prendeva il nome probabilmente da Hiol (ruota) per il semplice fatto che si allineava a quel punto del moto circolare che si scopriva, come succede ancora, al suo estremo inferiore per poi iniziare la risalita sulla linea dell’orizzonte.

Un evento che dopo il cristianesimo si ripresenta, ancora oggi, con tutta la sua energia. Per i linguisti il nome dato dai germanici a quel 21 dicembre sembra avesse origini indo europeo, forse persiane, un nome che per islandesi e finnici indicherebbe anche il Natale.

Fu Gregorio Magno al tempo della conversione cristiana a surrogare per i popoli nordici il termine Yule con quello di Natale cercando di conservare integre molte loro tradizioni originarie quale l’uso decorativo del vischio o dell’agrifoglio. Con tale ricorrenza gli alberi riprendono la loro importanza in questo particolare momento, come essenza simbolica di fertilità, unione, persistenza e lungimiranza.

L’albero di yule si ripresentava anche come quello della fortuna e della ricchezza e conserva ancora analogie con l’albero cosmico di Ygdrasill che i celti rispettavano insieme al loro dio Odino. Non è un caso che il dio Odino fosse raffigurato come un uomo barbuto e giudizioso disposto a ricambiare di doni il suo popolo quando esso avesse nutrito il suo cavallo alato.

Una figura analoga certamente al nostro San Nicola Vescovo e poi al paffuto Babbo Natale che, all’opposto, provvede personalmente a sfamare le sue renne.

Un albero su cui i popoli pagani potessero appendere le loro campane che al loro movimento avrebbero risvegliato e richiamato gli spiriti e una stella a cinque punte sulla sua cima più alta, a rappresentare il pentagramma dei cinque elementi naturali non poteva non essere considerato oltre che prezioso anche supremo.

Per altre tradizioni, nel giorno dello Yule, si commemora la fine del re Agrifoglio pianta simbolica dell’anno appena trascorso per far posto a quello del re Quercia che esprime l'anno nuovo e decreta l’ascesa solare.

Con questo passaggio di regni dunque, lo Yule diventa un giorno così carico di simboli e magie tanto che nelle feste romane del Sol Invictus si usava vegliare dal tramonto all'alba seguente per accertarsi che il sole riapparisse ancora.

Un rito così rilevante anche per le donne celtiche che attendevano nell’oscurità l’arrivo dei loro uomini a portare la luce delle fiaccole incerate su sacri ceppi di quercia o frassino utile per accendere un grande fuoco simbolo di morte, trasformazione e rinascita allo stesso tempo.

Quello che più sorprende è che per ogni popolo, sia fosse, druidico, celtico, sassone, gaelico, slavo greco o romano questo giorno rappresentava la nascita di una divinità associata di solito al culto del sole, alla giustizia e al bene.

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