lunedì 26 dicembre 2016

Li purciddrhuzzi salentini, la ricetta della nonna


Nel Salento, quando la forma e il colore di alcuni dolci somigliano a quelli di un porcellino, li chiamano purciddrhuzzi. Nel tarantino si vuole che l’ultimo purceddrhuzzu venga mangiato il giorno di San Antonio Abate, il 17 gennaio. Non c’è scelta più opportuna che mangiare l’ultimo dolcetto natalizio proprio accanto al santo protettore dei porcellini.

Con questa forma di gnocco passati al rovescio tra il dito indice e un resto di spatola di cannizzelli da telaio, si rende felice la compagnia del fine pranzo natalizio.

Miele, farina, lievito, vino bianco, acqua, sale sono gli ingredienti. A Gallipoli, non si utilizza il lievito e si abbonda con scorze di agrumi e pinoli. No uova ne strutto, solo qualche goccia di liquore all’anice e cannella.

Un impasto etnico che probabilmente si è originato nella lontana magna grecia. In Grecia ne esistono versioni simili che chiamano loukoumades.

Sono una versione di frittella gonfia, simile alle pittule salentine, cosparse di miele e grattugiato di mandorle. I salentini sostituiscono il miele di questa ultima variante invece, intingendola nel mosto cotto concentrato (cuettu) di malvasia nera.

Dicono pure che sia stato originato in Campania, dove prendono il nome di struffoli che guarda caso deriva dal greco stróngylos, (pallina). Lo struffolo era il dolce preferito dai vicerè spagnoli che lo identificavano con il termine andaluso piñonate.

Cosicchè abbiamo scovato un altro legame mediterraneo con la cucina tipica salentina. Cosa sarebbe un salentino senza il suo seguito di porcellini dolci? 

Ricetta della nonna

Si mette in una spianatoia un kg di farina bianca e mezzo di semola.
Si fa riscaldare in tre tazze di olio una scorza tritata di mandarino o di limone, si aggiunge una spremuta di arancio, se si preferisce mezzo bicchiere di vino bianco, un po' di chiodi garofano e di cannella; un pizzico di sale, pepe, un po' di anice.

Si aggiunge alla farina col lievito in polvere e si impasta energicamente.

Il salsicciotto così ottenuto si taglia prima in piccoli cubetti delle stesse dimensioni.
Li stessi si fanno passare sulla lieve pressione del dito, onde imprimere un leggero incavo o comunque la forma desiderata, spiralata, anellata od ondulata.
In genere, si cerca di increspare la superficie del purciddrhuzzo (un tempo si otteneva l'effetto facendoli passare col dito sui denti di un pettine in disuso di un vecchio telaio).
Si lasciamo lievitare per almeno tre ore prima di passare alla frittura.
I purciddrhuzzi fritti si potrebbero tamponare per eliminare l'olio in eccesso.
Si fa successivamente riscaldare in un pentolino il miele, fino a renderlo fluido, quindi per approntarlo ad accogliere i purciddrhuzzi.
L'operazione di rivoltarli nel miele, prima di adagiarli sul piatto di portata potrebbe essere il momento in cui si decide il loro destino.


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