foto di M. Ciccarese |
Si parte proprio dalla baia, su cui si narra fosse approdato il troiano Enea. Parto da quegli spazi, senza le grandi ambizioni dell'eroe; m’allontano qualche ora, semplicemente per raggiungere la torre più vicina, quella di Sant’Emiliano.
Il tratturo è anche quello dei greggi di razza moscia leccese, lo deduco dai brandelli di vello trattenuti dalle spine dei cardi. Il tratto è breve, un copricapo anti sole, comprato tra le bancarelle presso la baia, comode suole da trekking e una boccetta d'acqua.
Prima di raggiungere la sommità della torre d’avvistamento, occorre assalire una discreta pendenza rocciosa, dopo aver attraversato un sentiero piano a ridosso di interminabili basse muraglie di confine.
Dal 1743, con l'arrivo dello tsunami, originatosi da un grave terremoto, gli ultimi custodi della torre si ritirarono. Ora non ci sarebbe alcun motivo della loro presenza perché i pirati qui non approdano più dai tempi di Carlo V.
foto di M. Ciccarese |
Sul quel luogo hai l’impressione che la torre fosse in perenne bilico tra oriente e occidente. A malapena, puoi leggere, qualche informazione sbiadita, su un avanzo di cartello che sembra faccia da contrappeso alle stesse mura del pinnacolo.
Il grecale, mozza davvero il fiato. Senti in lontananza qualche frequenza balcanica e il gestore telefonico ti riconosce la posizione di roaming. Trovi i turisti orientarsi un selfie di saluto alla costa, prima di ridiscendere sul mare, in direzione della “marmitta del gigante”, un’enorme sfera rocciosa, levigata, non si sa ancora da chi.
Si ritorna, in direzione Sud, verso la prima trattoria possibile, prima che le temperature sfiorino i quaranta gradi, tanti quanti quelli che segnano la latitudine che abbiamo appena visitato e si pensa a come sarebbe questo percorso sotto una romantica e fresca luna.
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