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lunedì 27 giugno 2016

La Torre di Sant'Emiliano ad Otranto

foto di M. Ciccarese
AVANTI TERRA! ha percorso un breve tratto risalendo la costa salentina dalla baia di Porto Badisco alla Torre Sant’Emiliano nelle vicinanze di Otranto.

Si parte proprio dalla baia, su cui si narra fosse approdato il troiano Enea. Parto da quegli spazi, senza le grandi ambizioni dell'eroe; m’allontano qualche ora, semplicemente per raggiungere la torre più vicina, quella di Sant’Emiliano.

Il tratturo è anche quello dei greggi di razza moscia leccese, lo deduco dai brandelli di vello trattenuti dalle spine dei cardi. Il tratto è breve, un copricapo anti sole, comprato tra le bancarelle presso la baia, comode suole da trekking e una boccetta d'acqua.

Prima di raggiungere la sommità della torre d’avvistamento, occorre assalire una discreta pendenza rocciosa, dopo aver attraversato un sentiero piano a ridosso di interminabili basse muraglie di confine.

Dal 1743, con l'arrivo dello tsunami, originatosi da un grave terremoto, gli ultimi custodi della torre si ritirarono. Ora non ci sarebbe alcun motivo della loro presenza perché i pirati qui non approdano più dai tempi di Carlo V.

foto di M. Ciccarese
Sotto un sole rovente, la prima cosa che cerchi è un pò di refrigerio sotto l’ombra della torre, oppure, come fanno altri, all'interno, tra le sue mura smembrate.

Sul quel luogo hai l’impressione che la torre fosse in perenne bilico tra oriente e occidente. A malapena, puoi leggere, qualche informazione sbiadita, su un avanzo di cartello che sembra faccia da contrappeso alle stesse mura del pinnacolo.

Il grecale, mozza davvero il fiato. Senti in lontananza qualche frequenza balcanica e il gestore telefonico ti riconosce la posizione di roaming. Trovi i turisti orientarsi un selfie di saluto alla costa, prima di ridiscendere sul mare, in direzione della “marmitta del gigante”, un’enorme sfera rocciosa, levigata, non si sa ancora da chi.

Si ritorna, in direzione Sud, verso la prima trattoria possibile, prima che le temperature sfiorino i quaranta gradi, tanti quanti quelli che segnano la latitudine che abbiamo appena visitato e si pensa a come sarebbe questo percorso sotto una romantica e fresca luna.



giovedì 23 giugno 2016

La cicoria Otrantina

fotodi M. Ciccarese
Conosciuta anche come cicoria all’acqua, quella Otrantina, è simile a quella coltivata in Spagna nella regione della Catalogna. Il nome arabo Chikouryeh ne indicherebbe la parentela. Per altri sarebbe stata importata dalle regioni balcaniche, greche, i cui antichi abitatori la chiamavano Kichora.

La cicoria era già conosciuta in mezza europa grazie alle classificazioni di Plinio e Galeno che la decantavano per le innumerevoli virtù depurative e digestive. Nel medioevo fu diffusa in ogni luogo del Salento dai monaci basiliani, stanziati lungo la fertile valle del fiume Idro, quello che qualifica appunto la città di Otranto.

Rispetto alla Catalogna, lo scapo fiorale della otrantina ha un diametro inferiore; esso è più alto e più incavato alla base. Lo scapo reciso alla base favorisce i getti laterali che ne rinnoveranno altri e così via fino allo sfinimento della pianta. Il primo raccolto avrebbe un sapore più dolce ed un consistenza carnosa, i successivi, diventerebbero sempre più amari e fibrosi. 

Alimento molto richiesto dai salentini che lo offrono in più occasioni durante le innumerevoli sagre agricole. Un prodotto della dieta mediterranea esaltato da un filo d’olio d’oliva (ndilissate) o aromatizzato con ragù e cipolla (a pignatu).