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martedì 16 gennaio 2018

La grande Focara

la focara di Novoli 2018
Sant'Antoniu allu desertu, sta mangià li maccaruni, e lu tialu, pe' dispiettu, se pijaiu lu furcinune Sant'Antoniu nu rraggiau, culle mane se li mangiau.

Si illumina anche quest’anno la Focara di Novoli in onore di S. Antonio Abate, protettore della stessa comunità; ci vorrebbe un bel pezzo di storia per disegnare questa tradizione iniziata nel 1868, uno degli eventi più attesi nel Salento tanto da registrare puntualmente moltitudini di presenze.

La Focara, è un opera ciclopica, cominciata a fine dicembre con il certosino trasporto delle cosiddette “sarcine di leune”, fascine di tralci di vite, sinuosi sarmenti portati con smisurata devozione da ogni famiglia.

Il colossale covone, monumento di quasi 90.000 fascine alto 25 metri dal peso di circa 600 tonnellate, è il risultato di altrettante braccia operose, quelle dei braccianti d’Arneo, antica terra di lotta e di occupazione contadina.

In viticoltura nel mese di gennaio, fine e inizio d’annata, coincidono proprio con la potatura secca, con l’eliminazione dei vecchi tralci e con la preparazione delle nuove gemme per manifestare riconoscenza per il buon raccolto e iniziare con un vigoroso augurio il nuovo ciclo produttivo.

Il piglio rivolto a questo equilibrio di folclori è simbolo di unione, umiltà, impegno e condivisione intorno ad un cerchio di sfolgorante fiammata.

La focara, oggi, è il palpito di una regione chiamata Parco del Negroamaro, per annunciare attraverso ipotetiche cinte messapiche l’ingresso nel torace salentino; cuore traboccante di vino, sulle tavole festose, segno di generosità e energia; potere calorifico di un civiltà rurale, espressione di un “sangue iu”, “ca mina fuecu”.

Non ci sono istruzioni per assistere a questo rito, un fuoco acceso dal fuoco! Basta aspettare trepidanti il culmine del 16 gennaio, le acrobazie pirotecniche, le musiche zingare, l’accensione e lo scrosciare degli applausi prima di sfumare i pensieri nello scoppiettio del fuoco.

Verranno da ogni luogo, per guardare ciò che per i salentini è usanza, le modeste focareddrhe tra gli alberelli di negro amaro si commutano in prestigio ed opera d’arte.

Le autorità hanno eletto la focara come bene culturale; già non mancano, i numeri, le dirette televisive, i ringraziamenti, i gonfaloni e le buone intenzioni, ma la Focara, per questo, oltre che una semplice tradizione rimane ancora un estratto “paesologico”, un robusto simbolo di forza e di speranza popolare.

di Mimmo Ciccarese

da un articolo su salentoinlinea

domenica 29 maggio 2016

La Peronospora della Vite

È un microrganismo detto anche come Plasmopara viticola appartenente alla classe degli oomiceti un fungo proveniente dall’America e importato in Francia alla fine del 1800. Un fungo che compare quando le condizioni climatiche sono favorevoli al suo sviluppo.

Quando la nostra capannina meteorologica segna precipitazioni superiori ai 10 mm e temperatura minima giornaliera maggiore di 10°C è consigliabile allertarsi. La malattia si completa davvero, però, quando i tralci della vite hanno raggiunto i 10 cm di lunghezza o comunque quando le foglie abbiano delle aperture stomatiche ben differenziate.

I flagelli della peronospora si lasciano pattinare su quel velo sottile d’acqua piovana fino a raggiungere il primo stoma libero per occuparlo e attraversarlo, senza alcun permesso, fino a toccare i tessuti fogliari più indifesi.

Un’invasione vera e propria cui segue l’altra strategia d’attacco, quella secondaria, quando sviluppa il “ reparto dei conidi” un’altra struttura che trova condizioni ideali a temperature di 13-14° C e un alta umidità relativa dell’aria.

L’apparato fogliare necrotizzato soccombe e cade lasciando scoperte le delicate inforescenze, i piccoli grappoli speranzosi, che fuoriescono da una tormentata fioritura che ingialliscono e si arricciano prima di disseccarsi.

Un fungo temuto, poco gradito dai viticoltori che intervengono a supporto con trattamenti difensivi per prevenire la malattia o curarla. Eccole che spuntano le lotte strategiche di ogni tipo, dai composti rameici ai prodotti di sintesi chimica, un arsenale di prodotti pronti all’uso per chi possiede un regolare certificato.

Nei periodi d’attacco del fungo, l’allerta che si propaga anche tra le piazze e i bollettini crea giustificata preoccupazione, timore di perdere la pregiata produzione di uva, e l’andirivieni frenetico di comprare questi prodotti s'accresce. Per la maggior parte dei viticoltori, trattare in tempo prima che il microrganismo tramortisca le piante è una lotta infinita.

Qualcuno difende con razionalità la sua sospirata produzione, con la lotta biologica, con prodotti rameici, rinforzando i tralci con concimazioni organiche oculate, che non spingano il vigore vegetativo che rallenti gli eccessi quantitativi, soffermandosi sulla qualità.

Esiste perciò una requisito correlato quindi alla presenza del fungo, una sequenza di interventi colturali e culturali, una mentalità spesso orientata a eradicare batteri, funghi, virus e insetti delle piante come se fossero estremi nemici su cui adoperare strumenti chimici.