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martedì 23 gennaio 2018

La potatura

ph M. Ciccarese
Qualsiasi intervento di potatura deve essere eseguito “a regola d’arte” . La razionalità di una potatura non sempre coincide con l’equilibrio tra chioma e radice, anzi, spesso il potatore deve adeguarsi, trovare le soluzioni possibili senza arrecare danno alla pianta e prevedere quello che essa farebbe senza le sue decisioni.

Ci sono condotte di potatura che nel gergo tecnico non sono ben definite perché in Italia non esistono linee guida comuni, così com’è nella legislazione di altri Stati. Nei capitolati di appalto di una potatura non sempre si dettagliano le operazioni che descrivono con precisione il tipo o l’entità dell’intervento e le questioni in merito si accrescono a dismisura. 

Spesso si preferisce lasciar fare con fiducia ed ecco che le spalcature diventano tremende capitozzature e un’ordinario diradamento interno della chioma diventa una potatura straordinaria di ristrutturazione.

Attualmente non esiste un albo che elenchi dei potatori qualificati che abbiano conseguito una valida licenza, con tanto di esame da superare; ci si basa spesso solo su cenni d’esperienza ereditata o sul cattivo esempio da imitare ed ecco che i lecci e i pini delle città sono trasformati come ulivi o viceversa e ci potrebbe essere molto di più da documentare.

Un corso di potatori specializzati fornisce le competenze che spiegano la sottile differenza tra accrescimento e sviluppo vegetativo, le funzioni fisiologiche della fotosintesi o della respirazione, la fondamentale regola del taglio di ritorno o di quella dei tre tagli. 

Di fronte all’imperizia e al dilettantismo, aumentano i dubbi e le conseguenti rovine; sono perciò inevitabili il disinteresse e l’indifferenza per il valore che il bene comune arboreo ci concede. Un bene per cui le amministrazioni pubbliche più sensibili dovrebbero ricercare qualità e professionalità in grado di curarlo e difenderlo.

È piuttosto oneroso intervenire ad esempio su un ulivo monumentale d’indubbio valore etico, storico e ambientale con tecniche personalizzate, improvvisate e senza criterio. Se si pensa che un ulivo millenario ha il valore di un opera d’arte la potatura si dovrebbe considerare come un prezioso lavoro di restauro.
Non sempre una pianta come l’ulivo, pur possedendo enormi possibilità di ricacciare, è in grado di riafferrare la sua vitalità dopo un’asportazione sconsiderata di rami e foglie. In tale situazione è sempre opportuno tener conto dell’epoca in cui s’interviene oltre che dell’età della pianta e le condizioni pedo climatiche in cui versa il suo habitat.

Sono accorgimenti tecnici e semplici che spesso sono trascurati; lo si nota passeggiando lungo i viali cittadini e per le strade di campagna. Dall’osservazione e dalla valutazione tecnica si potrebbe passare con facilità ad esporre lo sgradevole scempio che oggigiorno diventa sempre più comune.

lunedì 21 novembre 2016

In principio erano gli Ulivi….


Un anonimo consiglia di fare come l’albero che cambia le sue foglie e conserva le sue radici. Per lui si possono cambiare visioni o dogmi ma mai i suoi principi. Per le specie sempreverdi, come quella dell’olivo, si può pensare che questo consiglio sia davvero utile?

La distesa grigio verde d’olivi, il reale tempio di Minerva, è parte della famiglia tipo d’un salentino che in essa, oltre ai fermi principi, rinviene qualcosa di più grande, anzi, oseremmo dire, d’infinito.

Tra gli affetti più cari la pianta monumentale, posta dal nonno del nonno, su quel preciso luogo, probabilmente, corrisponde a qualche briciolo luminoso dell’universo, milioni di anni luce distanti da noi, così come, un tempo, alcuni monumenti lo furono per altri popoli.

Non è un caso che le mappe che dirigono il cammino si chiamino proprio “piante”, come non lo è che i salentini si ritrovino, ancora oggi, entro le cosiddette “finite” per assumere cuoio e rabbuffi dei loro amari alberi che tanto finiti non sono e non solo per coltivarli e sostenerli.

A questo punto, non è arduo immaginare il modo come un contrafforte radicale si ancori al suo spazio e intrecci il suo nerbo con quello del suo vicino; per una famiglia salentina, questo legame, rappresenterebbe un’origine, una continuità e un valore che va oltre qualsiasi archivio conosciuto.

L’albero del monaco Pantaleone del mosaico di Otranto è anche quello della vita; è una delicata cronistoria, adatta per ogni ramo, per ogni stagione o, semplicemente, per le nostre piccole faccende quotidiane.  

Il disegno dell’arte musiva regge le colonne di un tempio cristiano ma il suo vero significato vaga oltre ogni credo possibile. L’impero ottomano, sul sacco di Otranto, certamente, aspirava a conquistare sopratutto quei magnifici patriarchi e il martirio successivo separò quel popolo in indomiti e sottomessi.

I primi, purtroppo, finirono racchiusi, con le loro spoglie, tra le teche del loro tempio; i secondi, invece, ricevettero gli uliveti da curare, e con essi ereditarono poi, purezza e bellezza, quegli attributi propri della loro divinità perduta.

Senza quell’albero, mai soggiogato, probabilmente, non avremmo mai indossato un cuore per raccontare così bene la nostra terra. Con quelle radici si restituisce il passato e si fondano, i principi e lo stile dell’umanità salentina.

L’olivo è un evento che celebra il mito di Atena, l’onnipresente dea madre, eletta da Zeus, sulla proposta del suo borioso concorrente Poseidone, una saga tipicamente mediterranea, marcatamente salentina.

Nel Salento, l’olivo è anche quest’andirivieni di bei racconti, dei ghirigori di leggende che con la sua intesa radicale si attorce fin sotto le ciglia delle sue umili dimore, sotto una pezzuola greca annodata al mento, intorno a pupille vispe e brune, come olive mature appena raccolte.

Al popolo salentino è perfino concesso di ruzzolare tra le cavità di un olivo ed entrare gentilmente nel ventre del suo tronco, sentirsi protetto per qualche attimo e nello stesso tempo, isolarsi distante dal viavai corrente, aspro e indifferente.

Il passaggio tra le fessure del suo legno è una breve danza, una rappresentazione estratta dalla viva voce popolare  e spesso usata come auspicio di fertilità e abbondanza o per allontanare gli spiriti poco benevoli.

Solo con questa esperienza puoi sentire lo stupore di attraversare i ritmi di un torace legnoso e poi intendere come sia facile accedere in una grandezza che spanna un altro mondo possibile, così vicino, così a portata di mano, a pochi passi dalle nostre preziose r-esistenze. 

domenica 28 agosto 2016

Radici


Radici indomite come nervi tesi, tra le visceri della mia terra brulla; 
linfe confuse tra i vasi contorti della memoria. 
Eppure mordono, tra le gole sassose, fuoriescono, dalle ruvide croste lucenti. 
Prova a fargli sentire i tuoi passi morbidi, le carezze del cammino.

Radici d’uomini, d’eserciti e di fedi, radici sul mare, radici, radici d’orgasmo, d’arte e silenzio.
Eppure implorano, sotto il costato, a viva voce, gettano frotte e capelli di legno. 
Prova ad essere radice, sagola di dura branca, disteso su ogni stirpe, culla di calore.

Sottomesse e votate al tramonto, tranciate e svestite sotto le scuri di lune crescenti. 
Prova a sfiorarle ancora, i fianchi nodosi dei secoli, il cuoio rugoso e immortale. 
Prova a proteggerle, radici di madre, di volpi e serpenti, radici, radici del sud, radici d’ulivo