lunedì 23 maggio 2016

La banca dei semi



Che cosa spinge i movimenti a salvaguardare la biodiversità della cultura contadina? Certamente l’energia germinativa delle creature vegetali crea un desiderio di tutela e di curiosità simile a quella che ebbero i padri della ricerca genetica nel corso dei secoli.

C’è uno scambio formativo intorno a tale prerogativa, dai tempi in cui nacquero, quasi parallelamente con l’avvento della chimica in agricoltura, i primi gruppi di “seed savers” e le prime reti di banche genetiche mondiali per replicare alla richiesta naturale di serbare le varietà più antiche di piante, quelle a rischio d’estinzione. I semi si perdono in favore di un processo di “erosione genetica”, una deriva dovuta alle esigenze di mercato e per ridurre il valore dei costi di produzione.

Legumi, ortaggi e cereali, si ritrovano grazie alla minuziosa ricerca di centinaia di migliaia di volontari. Un cuore rurale si riscopre tra le opportunità di semina, un catalogo di antiche piante, un ventaglio di espressioni locali in attesa di germinare.

È un gesto nobile, quello di conservare i semi, come si faceva un tempo, racchiuderli con cura in piccoli sacchetti di iuta, tra le ripostigli delle cantine, come gioielli di un antico orto, saperi e sapori di una volta. Si risemina la terra, attraverso corsi ad hoc, che spieghino la tecnica di ritrovare la tradizione contadina e conoscere le attuali normative che disciplinano la difficile esistenza delle sementi.

La banca dei semi è un luogo di stoccaggio, un gradevole test tecnico di germinazione, un incontro tra domanda e offerta di varietà indigene, un’opportunità di lavoro nel settore dell’agricoltura naturale, un attimo d’informazione preziosa, in grado di creare testimonianze, strumenti di dibattito etico e traffico d’esperienza tra produttori locali.



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