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mercoledì 29 maggio 2019

Una preghiera per l'agricoltura

Come avrebbero fatto gli antichi agricoltori romani a proteggere i loro raccolti senza la provvidenza dei loro Dei? Forse allo stesso modo con cui avrebbero fatto gli antichi egizi, i babilonesi, i celti medievali o i popoli asiatici?

Ai giorni nostri è rimasto ancora, qualche scampolo di rito popolare o una sagretta a km zero dedicata al santo tutore delle messi e della vendemmia. Ancora oggi per ogni seme di rosario, si spera che i giorni diventino più produttivi.C’è un filo non tanto sottile che lega l’agricoltura ai dogmi e ai miracoli. Le intercessioni dirette restituivano pregio e sacralità ai raccolti. Erano le stesse divinità che decidevano la sussistenza delle famiglie.

La siccità o una gelata primaverile sarebbero, quindi, avversità divine, dovute ad una preghiera inespressa? In molte comunità rurali, lì dove si rivelano nuovi pensieri di pace e speranza, l’esigenza di pregare si avverte più forte. Tutto come prima, allora, nulla sembra cambiato.

Come sempre è l’entità femminile che presiede al culto della fertilità. Oggi la si vuol far intendere come il diretto legame con la natura, con gaia, la grande madre. I frutti ottenuti assumono toni sempre più importanti, a volte, così severamente deificati che hai perfino il timore di mangiarli. Sarà questa l’agricoltura della nuova era? Il nuovo ora et labora. Per alcuni potrebbe diventare una sorta di agro-religione.

Chi invece non bada a spese, preghiere e agricolture 2.0, può concedersi ancora il lusso d’irrigare e concimare il proprio orticello se esso manifesta momenti di sviluppo disperato. Per un orticoltore sarebbe una seccatura vedersi lessare i pomodori da un sole impietoso.

Nessuno proibisce di pregare. Nessuno vieta di considerare la dolce preghiera, come una vera e propria pratica agricola; si faceva così nella vecchia Babilonia, tra i popoli assiri, nell’antico Egitto, per adorare le dee protettrici Ishtar e Iside. Non è una novità.

Come un tempo, ci si prostra all’alba e alla luna, ai confini del proprio piccolo podere, per recitare umilmente il proprio personale mantra.




Le preghiere sono ammesse per ogni metodo d’agricoltura, da quello convenzionale a quello naturale, non ci sono disciplinari di produzione che le regolano, le aspirazioni sarebbero comuni, ci sarà sempre un anima semplice che consacrerà il raccolto a qualche nuovo beato.

Tra i popoli celtici dell’Europa centrale con la cultura dei boschi, ci s’intrecciavano miti e leggende. Con i celti, i rituali si riferivano alla natura, fino al giorno in cui furono banditi da altri invasori che portavano un'altra fede.

Un tempo s’invocavano le ninfe delle querce, dei pini, degli ulivi. Per ogni meridiano c’era un nume da venerare. Nel mediterraneo, gli antichi romani furono tra i primi a cominciare con la dea Cerere, ereditandola dalla cultura greca di Demetra.

Cerere si onorava festeggiando dalla seconda decade di aprile fino a fine maggio. I greci, invece, portavano offerte sull’altare di Cibele e di Attis, dio della vegetazione, il figlio generato da Zeus. Vi era una preghiera per ogni divinità se non addirittura un mito per ogni specie coltivata.

È un rito propiziatorio quello che si fa in Salento con il passaggio attraverso le cavità di un ulivo millenario dopo aver fatto un giro completo intorno al suo tronco. Forse questo sarebbe stato la premessa alla certosina raccolta delle olive, quasi come a voler disegnare sulla terra l’alfa della stagione che culminava con quella Croce cristiana incisa sull’entrata di ogni frantoio medievale ipogeo.

Attraverso la pietra forata del tempietto dedicato a San Biagio, tra le campagne della Grecia Salentina le donne sfilano durante la ricorrenza per ingraziarsi fertilità e benessere. Attraverso i menhir eretti in Sardegna e in Puglia, gli antichi popoli avrebbero rimesso alle loro divinità agricole le migliori speranze.

Fermiamoci qui, dove non è più possibile elencare gli smisurati esempi che ho riscontrato tra le campagne visitate. Fermiamoci sulle parole di questa breve preghiera salentina, da recitare ad alta voce, per conciliare il duro lavoro nei campi con un felice raccolto, immaginando per una volta, di essere piccoli semidei di campagna.

Oh Matonna all’annu neu
Me presentu annanti a tie
Nu uardare lu panaru
Picca ranu e picca ulie

Oh Matonna iou te preu
Porta acqua quannu ccrai
Famme stare te signuru
Nnuci preciu e lende uai


Trad. Oh Madonna per il nuovo anno, sarò qui al tuo cospetto, non guardare il mio paniere, ho poco grano e poche olive. Oh Madonna io ti prego, porta pioggia nel futuro, fammi vivere da signore, portaci gioia e toglici i guai
https://www.teatronaturale.it/pensieri-e-parole/editoriali/23232-una-preghiera-per-l-agricoltura.htm#


giovedì 9 febbraio 2017

Le buone pratiche agricole sono davvero così buone?

foto di Mimmo Ciccarese
Le regole della “condizionalità” sono state introdotte dalla Politica Agricola Comune (PAC) approvata nel 2003 e sono l’insieme delle norme e delle regole che le aziende agricole devono rispettare per avere accesso al regime del pagamento unico.

Con la condizionalità la Comunità Europea si propone di raggiungere un corretto equilibrio tra la produzione agricola competitiva e il rispetto della natura e dell’ambiente.
Gli agricoltori che dal 2005 beneficiano dei cosiddetti “pagamenti diretti” sono sottoposti alla condizionalità obbligatoria (regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio e regolamento n. 796/2004 della Commissione.
Si tratta di numerosi atti legislativi in materia di sanità pubblica, salute delle piante e degli animali e benessere degli animali e dell’ambiente.

Le regole si applicano per titolari di aziende agricole e la loro inosservanza è sanzionata con la soppressione parziale o totale dell’aiuto. Chi usufruisce di tali benefici ha l’obbligo di mantenere le superfici agricole in buone condizioni ambientali e produttive.
Le condizioni sono stabilite dagli Stati membri, riguardano la protezione del suolo, la conservazione della sostanza organica e della struttura del suolo agrario, alla conservazione degli habitat e del paesaggio, inclusa la protezione dei pascoli permanenti.

La condizionalità è definita in base al regolamento (CE) n. 1782/03 e comprende due grandi gruppi di norme. Le prime si riferiscono ai Criteri di Gestione Obbligatori (CGO), un quadro di norme comunitarie, nazionali e regionali relative a sanità pubblica, alla salute delle piante e degli animali, all´ambiente e al benessere degli animali. Le seconde riguardano il mantenimento delle Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali (BCAA).

Attraverso questi due grandi quadri di riferimento l’imprenditore agricolo e il coltivatore diretto devono impegnarsi a gestire correttamente la propria azienda, mantenere buoni livelli di sostanza organica e salvaguardare l’ecosistema. Il non rispetto di tali principi, porta a un meccanismo di riduzione del beneficio secondo il tipo di sanzione.

I controlli di verifica delle Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali consistono in telerilevamenti e interpretazioni di foto aeree allo scopo di riscontrare lo stato degli appezzamenti aziendali e quindi rilevare che il terreno sia in buone condizioni agronomiche e ambientali.
Ci sono obblighi sul divieto di bruciare le stoppie, sulla protezione del suolo dall’erosione superficiale, sulla protezione della struttura del suolo, sul mantenimento delle caratteristiche paesaggistiche. Ogni rispetto della condizionalità rientra perfino nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale.

Quando si ricerca su ambiente e paesaggio oltre ad innumerevoli finestre legislative, ti si aprono anche autorevoli report sull’argomento, richieste e inevitabili dubbi.
Se ti fai un giro tra le campagne trattate con pesticidi, ti chiedi se tali norme rispettino quanto richiesto dalla condizionalità. Un diserbo chimico o un pirodiserbo è così palese, il disseccamento lo noti eccome.
Nei Centri di assistenza agricola (Caa) si fa la fila per sottoscrivere la domanda PAC, il documento che accredita una superficie agricola ad avere diritto agli aiuti comunitari a patto che i suoi conduttori rispettino le BCCA.

A quanto pare, è proprio la presenza del trattamento, quando registrato su apposito quaderno di campagna, che evidenzia il rispetto di tali norme che per un concetto, accluso tra le maglie della normativa, ritiene che siano “buone” per l’ambiente. Tra l’altro, gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari sono autorizzati da regolare certificato, conseguito dopo apposito corso e dopo una rigorosa valutazione.

La definizione di Buona Pratica Agricola vi riporta all’art 28 del regolamento CE 1750/1999, come quella che "Ai fini del regolamento (CE) n. 1257/1999 e del presente regolamento, costituiscono normali pratiche agricole l’insieme dei metodi colturali che un agricoltore diligente impiegherebbe nella regione interessata”.
Il regolamento 1257/1999 riguardava il “sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) ” che considerava l’opportunità di continuare le misure ambientali introdotte con lo storico regolamento CEE 2078/92, per l’agricoltura biologica e integrata, di incoraggiare gli agricoltori a operare “nell'interesse dell'intera società, introducendo o mantenendo metodi di produzione compatibili con le crescenti esigenze di tutela e miglioramento dell'ambiente, delle risorse naturali, del suolo e della diversità genetica, e con la necessità di salvaguardare lo spazio naturale e il paesaggio”.

Ad esempio, la Regione Puglia, proprio riferendosi al rapporto di valutazione sull’applicazione del Reg. CEE 2078/92, inerente all’analisi dei risultati conseguiti nel primo triennio di applicazione elaborato dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), valutava la necessità di chiarire e definire il termine di BCCA.
Lo faceva allegandola al Piano di sviluppo rurale 2000-2006. L’allegato descrive e individua come “metodi buoni” i comportamenti non soltanto rispettosi delle norme ma coerenti con queste. Tali comportamenti, per le colture nelle quali necessario, sono stati differenziati in rapporto alla diversità morfologica del territorio regionale e dei diversi metodi agronomici di coltivazione delle colture. Le“buone pratiche agricole”sono state individuate per gruppi omogenei di colture, aggregate in base alla stretta analogia che contraddistingue le pratiche agronomiche usualmente effettuate su tali coltivazioni nonché il fabbisogno di fattori produttivi e dei mezzi tecnici necessari per le stesse. Le colture individuate sono quelle maggiormente rappresentative per l’agricoltura pugliese, ossia quelle con la maggiore incidenza sia in termini di diffusione territoriale che di peso economico, nonché di potenziale impatto ambientale. Per la stesura del codice di BPAn sono stati presi in considerazioni oltre alle buone pratiche agricole normali di una certa zona anche ulteriori pratiche previste da leggi e norme che discendono da disposizioni comunitarie in materia di ambiente, sia di carattere generale sia specifiche per la zona considerata”.

A tale definizione segue una serie di norme di riferimento tra cui quelle relative alle pratiche di fertilizzazione e di diserbo, di cui si fa obbligo in questo codice che trovano riscontro normativo nel D.Lgs. n.152 dell’11 maggio 1999, recante “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento provocato da nitrati provenienti da fonti agricole”. In seguito lo stesso allegato, descrive le linee guida per gruppi di coltura che contempla ogni forma di trattamento chimico convenzionale oltre che il diserbo chimico.

A distanza di quasi un ventennio da tali definizioni e alla luce dei recenti report dell’ISPRA sulla presenza di pesticidi nelle acque sotterrane e superficiali, della messa al bando di alcune sostanze attive ecc, il Piano di Azione Nazionale (PAN) che riesamina le regole per l’utilizzo dei pesticidi, sembrerebbe anacronistico considerare, ancora, questi interventi come “buone pratiche agricole”. A oggi per quello che si manifesta quotidianamente tra gli habitat rurali, ci induce a pensare che il vecchio concetto di BPan debba essere quantomeno rivalutato.

http://www.olioofficina.it/saperi/ambiente/le-buone-pratiche-agricole.htm

martedì 16 agosto 2016

Le proposte di AVANTI TERRA!


ph di M.Ciccarese
Qualche tempo fa AVANTI TERRA! con la cartolina “Agricolture, agriculture”, si era confrontata a tracciare una sintesi circa la molteplicità dei movimenti agricoli. In quella pubblicazione si descrivevano i modelli agricoli più in auge e si evidenziava quell’amaro distacco che allontanava l’agricoltura tradizionale da quella moderna.

Le tracce che uniscono oggi i modelli agricoli, in fondo, non sono altro che quelle che riassumono ed espongono tutti gli aspetti propriamente etici che li caratterizzano. Non si produce sempre per trarre un profitto a tutti i costi, spesso si coltiva anche con l’intento di condividere un bene, come un tempo ci si scambiavano cibi come regali.

I tecnici, le amministrazioni, le associazione o i gruppi di giovani che si rendono disponibili al confronto e ai quesiti, quali possono essere quelli riguardanti la sovranità alimentare, l’utilizzo indiscriminato di pesticidi, la sottrazione di spazi naturali, intende donarsi alla collettività per contribuire alla tutela della civiltà rurale.

In questa nuova occasione, si potrebbe dialogare per conoscere meglio le problematiche degli agricoltori, capire se si sentono oppressi da mille difficoltà o se siano veramente liberi di seminare, si potrebbero individuare gli strumenti e le risorse disponibili oppure valorizzare il loro lavoro prima delle loro produzioni e non viceversa.

Tutto questo sarà certamente il preludio al gradevole assaggio che AVANTI TERRA! è in grado di proporre al suo vicinato.

sabato 4 giugno 2016

Agricolture, agriculture

foto di M.Ciccarese
Quante agricolture abbiamo? L’agricoltura sostenibile, integrata, naturale e sociale, organica, biologica e biodinamica, sinergica e rigenerativa; poi abbiamo l’agricoltura urbana, spirituale, verticale e vegana, quella itinerante e quella quantistica.

Quando si tratta di agricolture alternative, spunta sempre qualcuno che idealizza o scopre un rivoluzionario metodo per produrre, lo adotta, lo fa talmente suo che diventa un credo da diffondere, una comunità, una moda o, ancor peggio, un esempio di lotta politica.

Allora se queste forme di rinnovamento servono per renderci felici, ben vengano, avremo tante opportunità, strategie e aperture per avere altro cibo, anche se, in molti casi, a rifletterci bene, si riscontra poi con meraviglia che i progenitori contadini le avevano forse già sperimentate con pura semplicità molti secoli prima. Ci sarebbe quindi poco sentore di novità tra le molteplici forme di agricoltura?

Non contraddite questo o quel modo di seminare, perché ciò diventa spesso una vera e propria filosofia che, a volte, si arzigogola e si contorce, da difendere a denti stretti. A volte, si tratta di agricolture rappezzate provenienti da stralci di culture lontane che non hanno niente a che fare con il nostro habitat mediterraneo, spesso irrazionali; in questi casi, occorrerebbe anche un po’ di sana umiltà, prima di fracassare i sistemi tradizionali dell’agricoltura dei nostri avi.

Si cercano soluzioni, nuovi alimenti da prodigiose virtù, rovistando tra i semi antichi di grano, varietà autoctone, passate nel dimenticatoio dell’agricoltura intensiva, qualche volta improvvisandosi esperti coltivatori, senza conoscere la fotosintesi e vaneggiando un risultato sicuro.

Quella semina esemplare diventa un evento, un’affermazione, da ribadire all’opinione pubblica, un sistema per differenziarsi tra gli altri contadini, affermare la propria r-esistenza rurale con l’unicità della loro orgogliosa scelta.

Chi nasce da una cultura rurale sa molto bene che per produrre occorre pazienza, cura, sacrificio ed impegno. Il vero agricoltore riconosce la possibilità d’insuccesso e, silenziosamente, seppur con sofferenza, si rassegna alle bizzarrie climatiche, solidarizza e si riunisce, si rimbocca le maniche, impugna la falce e riprende da zero il suo lavoro senza mai smarrirsi troppo tra le ciance.

AVANTI TERRA! è preparata per parlarvi di agricoltura. Fate pure qui le vostre proposte o domande.