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venerdì 11 novembre 2016

San Martino e i calici della conversione

foto di M. Ciccarese
I santi non si possono revocare, restano per sempre eroi o protettori. Esistono molte verità che la storia non riconosce, tavole poco ufficiali da ripassare con la ragione e la cultura dell’essere odierno.

Digito il nome di un santo e resto basito dalla storia di San Martino, protettore degli alberi. Le sue prodezze affondano con quella dei culti arborei, con un intreccio di radici pagane di popoli celti e druidi.

Che cosa coprisse il suo generoso mantello lacerato per salvare gli emarginati dal freddo lo apprendo solo adesso e penso di rigettarmi a spidocchiare per un attimo nella saga di questo singolare mistico.

Quando le missioni di un’altra devozione intrapresero di convertire altri popoli, in nome di risoluzioni supreme e per impedire il perdurare dei loro culti arborei, rasero al suolo le foreste a loro sacre. Si può immaginare cosa sarebbe capitato alla resistenza pagana sorpresa a divinare offerte agli alberi per chiedere protezione per i loro familiari.

In quel tempo, San Martino vescovo tra questi incarichi e con il grado di difensore di tali proclami, si fece annodare al tronco di un immenso pino ritenuto sacro da quelle popolazioni destinato all’abbattimento per comprovare e sostenere la virtù della sua fede allo scetticismo pagano.

A quanto pare la sua liturgia fu quanto mai opportuna e tempestiva alla caduta dell’albero che lo graziò sfiorandolo e autenticandone così la certezza del suo dogma ai nuovi popoli.

Il giorno che lo ricorda è il tempo simbolico in cui il mosto grezzo dalle coppe d’argilla si converte nei calici del nuovo vino, appunto quello della conversione.