lunedì 13 giugno 2016

Qualcuno lo chiama Torrone

foto di M.Ciccarese
La cupedia, dolce tipico del Mediterraneo, diffuso dagli arabi dal quindicesimo secolo, con il nome di qubbaida, attraverso la città spagnola di Alicante, giunge tra le nostre terre fino ad assumere quel fascino e quel sapore tostato che caratterizza le roventi feste meridionali.

Il classico torrone non dovrebbe ricordare solo la figura di una banale torre perché i sanniti e i latini, già lo conoscevano, avendolo ereditato dall’ingegno arabo, come un alimento superbo ed energetico, a forma di generoso cuore.

La cupeta propriamente detta contiene l’aroma del limone e della vaniglia, il croccante dei pinoli e delle mandorle, il colore del pistacchio di Caltanisetta, l’avorio della Sardegna o l’ambra del Salento; per ogni terra un rito di produzione, una ricetta segreta o una formula magica che garantisce ai ghiottoni un’esplosione di sapore.

La pasta caramellata che lentamente si distende e si raffredda sul ripiano del cupetaro, invita, i super dentati, a quel repentino morso che scompone la sua gradevole vivacità alchemica, non solo sulla percezione del gusto.

Allora si pensa di offrire, come si faceva un tempo, un pezzo di cuore di questo mieloso treno mandorlato alla propria fidanzata, strettamente avvolto nella sua immagine come messaggio e simbolo d’amore.

Tieni lu core testu comu la cupeta te Santu Ronzu” sarebbe invece l’espressione colorita d’un vecchio alla consorte dopo aver ricevuto, rincasando a tarda ora, come “mattarellata” proprio il duro dolce che gli aveva portato dalla festa patronale.

Un dolce solido come una roccia, che in Puglia, ricorda quella breccia calcarea a cui Federico II di Svevia s’era affezionato per edificare i suoi castelli e invitare le corti a celebrare le vittorie.

Eppure il cuore della cupeta non è solo il tradizionale dolce di reggie e imperatori, oggi lo incontriamo così semplicemente tra le parate festose dei santi popolari, esposto sui camioncini dei suoi produttori al prezzo che ci convince.

In ogni caso, quel che rimane della cupeta, te lo ritrovi felicemente tra le tasche la mattina seguente, quel che non rimane, invece, lo ritrovi con il gradevole ricordo dei suoi aromi diffusi tra le luminarie della festa.

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