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mercoledì 7 febbraio 2018

La fava di Zollino e la semina esemplare

ph di M. Ciccarese
“Miscare fae e foie” è un modo di dire salentino che si ripresenta quando un dialogo o un commento, tratta argomenti distanti, disarmonici o sconnessi. In realtà, il detto ci riporta a un piatto apprezzato nel salento, appunto la “minescia” (minestra) di cicorie “reste”, selvatiche con le fave verdi o con le “faenette”(fave secche nettate); la prima specialità speziata con le officinali è ottima per l’inizio dell’estate, la seconda rinforzata con il piccante è precisa per marcare il freddo dell’inverno. In entrambi i casi, comunque, l’equilibrio è l’antitesi del mottetto, una sorta di Yin e Yang condito e rinforzato da un sottile filo d’olio extra vergine di oliva.

Le due verdure, pur provenienti da famiglie botaniche differenti si rimescolano magicamente e trovano la loro dovuta benedizione al lato di un buon bicchiere di negroamaro! Sono attimi contadini, bocconi d’ordinaria ruralità, nei luoghi, dove il folclore dichiara più vigore e l’esperienza del cibo povero non rappresenta solo una semplice espressione mediterranea, ma è un continuo effluvio di piaceri.

Zollino è un centro della grecia salentina, area ellefona, forse fondata dai greci di japigia, dove tra un menhir e un altro, si ha sempre il piacere di condividere e discutere a lungo sulla qualità dei suoi prodotti tipici; la città, pur essendo piccola, è ormai diventato il capolinea dei buongustai nomadi.
La tutela della biodiversità nasce quando i suoi residenti intuiscono che la loro terra, per la qualità calcarea che aiuta l’umificazione della sostanza organica, è predisposta alla coltivazione dei legumi; il tessuto del suolo di Zollino è quindi, una certezza che invita alla semina di ciò che restituirà dopo con la raccolta. 

Riprende così, la semina esemplare in una curiosa kermesse di varietà smarrite; essenze riscoperte e trasmesse, conservate con grande cura dagli anziani, dignitosa collezione di semi. 

Dal campo alla tavola, sfilano il pisello nano e la fava, come essenze simboliche di un nuova agricoltura. In particolare, la fava “Cuccia” di Zollino non conta più di cinque semi per baccello, leggermente più grande e schiacciata rispetto alle altre, è capace di ultimare la gara di una lunga cottura senza perdere la sua originalità; il valore dei suoi nutrienti va la di là di ogni dieta se ricca di carboidrati, fibre, vitamina B, proteine, potassio e povera di grassi.

Le terrazze zollinesi, ribattono le “faddare” e le “ piseddrhare”, cespi interi di piante di fave e piselli, raccolti a maggio, tagliati al colletto ed esposti a ciondolare al rovente sole di giugno per riscuoterne un vantaggioso carico per l’inverno.

Oggi si reclama, e non solo per le fave, il diritto di difendere e scambiare le antiche varietà quando sono minacciate da altre più produttive, create per scopi commerciali, varietà che non concedono possibilità di condividere i luoghi originari di produzione. 

Come ricorda Vandana Shiva, nota scienziata ambientalista indiana: "I semi sono la fonte della vita e il primo anello della catena di produzione del cibo, controllare i semi significa poter controllare le nostre vite, il nostro cibo e la nostra libertà”.




pubblicato per Salentoinlinea7 febbraio 2013

giovedì 23 giugno 2016

La cicoria Otrantina

fotodi M. Ciccarese
Conosciuta anche come cicoria all’acqua, quella Otrantina, è simile a quella coltivata in Spagna nella regione della Catalogna. Il nome arabo Chikouryeh ne indicherebbe la parentela. Per altri sarebbe stata importata dalle regioni balcaniche, greche, i cui antichi abitatori la chiamavano Kichora.

La cicoria era già conosciuta in mezza europa grazie alle classificazioni di Plinio e Galeno che la decantavano per le innumerevoli virtù depurative e digestive. Nel medioevo fu diffusa in ogni luogo del Salento dai monaci basiliani, stanziati lungo la fertile valle del fiume Idro, quello che qualifica appunto la città di Otranto.

Rispetto alla Catalogna, lo scapo fiorale della otrantina ha un diametro inferiore; esso è più alto e più incavato alla base. Lo scapo reciso alla base favorisce i getti laterali che ne rinnoveranno altri e così via fino allo sfinimento della pianta. Il primo raccolto avrebbe un sapore più dolce ed un consistenza carnosa, i successivi, diventerebbero sempre più amari e fibrosi. 

Alimento molto richiesto dai salentini che lo offrono in più occasioni durante le innumerevoli sagre agricole. Un prodotto della dieta mediterranea esaltato da un filo d’olio d’oliva (ndilissate) o aromatizzato con ragù e cipolla (a pignatu).


martedì 24 maggio 2016

L'amaro della Cicoria selvatica

ph di Mimmo Ciccarese
Riportiamo sulla tavola il gusto un pò amaro della cicoria selvatica già lessata che l’olio novello amplifica senza disturbare ed a cui si chiede il permesso di salare prima di arrotolarla tra la forchetta.

La cicoria si raccoglie tra le terre incolte non contaminate, con una semplice torsione della lama sul colletto della radice che si attacca alle foglie e si ripone nel solito sacchetto occasionale.

La raccolta spontanea quando rispetta i luoghi è un esercizio utile per i cercatori, ti fa discernere le specie che gli somigliano, quelle non eduli, che il non botanico assegna con un nome volgare e cangiante.

Il suo etimo viene dall’arabo o dal greco antico, appartiene alla famiglia delle composite ma si è sempre raccolta perché contiene virtù inaspettate in grado di regolare molte funzioni del nostro organismo.

L’amaro della verdura appena raccolta sembra sia dovuto alla presenza della cicorina un glucoside che potrebbe riattizzare una nuova passione per chi si sorregge con le erbe.

Le radici della Cichorium Intybus seccate e tostate, si surrogavano al caffè un po’ come facevano i generali prussiani prima della battaglia.