sabato 28 maggio 2016

Una potatura razionale porterà alla salvezza degli ulivi


Solo il semplice pensiero di conoscere una pianta ci affascina e ci rende felici; pensare all’ulivo e al suo ambiente oggi, più che mai, apre nuove occasioni di confronto. Ci siamo mai chiesti da dove proviene questa pianta o come e perché è tra di noi? La Puglia è anche olivicoltura, è risaputo, ma in che modo queste piante si sono mantenute indenni dopo secoli di storia e avversità di qualsiasi tipo; e soprattutto ci chiediamo quali sono state le soluzioni più giuste che abbiano condotto a fissare le varietà, il sito, la profondità e i sesti d’impianto che oggi evocano arte e sentimento nella gente?

Le piccole differenze ci colgono con lentezza; il periodo produttivo, che dura ancora, pur perdendosi nella notte dei tempi, scandisce con forza le nostre accorte coscienze.

L’ulivo è sacro come il suo olio e le sue foglie; il legno che trasporta e le sue radici che assorbono, si espandono e s’intrecciano oltre la proiezione della sua stessa chioma, sono un concetto ben conosciuto tra i tecnici esperti e il valore etico di un olivo è senza precedenti se si pensi, per esempio, alla terribile causa della desertificazione.

Le infiorescenze di un ulivo sono destinati a cadere in primavera ma molti fiori non verranno a frutto; solo una piccola parte delle drupe saranno raccolte per estrarre poco olio. Piccole quantità d’olio, quindi, per grandi speranze; pensare al suo frutto, quindi, significa adottare una pianta e condurla con fiducia e dedizione in tutte le sue fasi vegetative per tenerla integra e ancorata sulla sua stessa dimora.

Tecnicamente la messa a dimora è preceduta da un’accurata scelta varietale su un luogo consono alla sua struttura radicale, al sottosuolo, alla disponibilità di risorse idriche. Tutto ciò dovrebbe rendere l’idea della complessità e dell’importanza di qualsiasi forma di allevamento adottata.

E allora cosa è vitale nella pratica di manutenzione di un olivo? L’equilibrio innanzitutto, fra apparato ipogeo ed epigeo, poi una buona distribuzione della linfa e dei rami all’interno della parte aerea per evitare affastellamenti, competizioni e ombreggiamenti eccessivi. Con la potatura, occorre anche considerare la razionalità nel suo ordine spaziale, l’interazione e l’armonia con il sistema terra, spesso dinamica e variabile, od ancora la sua probabile architettura che fa tenere la pianta ancorata al suolo.

Per questo motivo un ulivo soffre se espiantato e ricollocato su un altro habitat diverso da quello d’origine, magari su un terreno argilloso o a ristagno idrico per esempio, senza considerare una appropriata valutazione tecnica.

Quanti verificano, al momento della messa a dimora il più comodo sesto d’impianto prima di decidere sulla cultivar. Al momento dell’impianto o prima di una potatura ci si chiede quale sarebbe la più giusta esposizione e l’orientamento al sole, ai venti, al mare, alle rotazioni terrestri e perfino all’influenza lunare?

Non si può operare su un albero senza conoscere la sua morfologia, il suo atteggiamento naturale, la fisiologia dei suoi organi e condurre una potatura “a regola d’arte” senza recare danno. È questo è il motivo per cui, la responsabilità di una massa legnosa di un ulivo non può essere affidata a chi decide di allevarlo senza una minima competenza tecnica.

Quali sono le garanzie che mi offre oggi questo territorio, che ogni tanto abbatte e sradica ulivi sani e che poi perde il controllo in nome del suo tornaconto? Chi ha ricevuto il dono di questo paesaggio e l’ha accudito per decenni con estrema dedizione lo sa benissimo; e poi basta osservare la terra dal satellite per constatare il costante rapimento di superfici agricole.

Chi saranno gli eredi della tecnica del “vaso rovesciato”, della “piramide”, del “taglio di ritorno”, della “slupatura” e di tutte quelle operazioni trasmesse nei secoli dai nostri avi? Credete che basti poco per produrre se non si riconosce un ramo a legno da uno a frutto o vi basta solo riflettere all’ulivo come una pianta sempreverde con funzioni estetiche?

Sull’estetica ci sarebbe da dire, ma i maestri di pota sono proprio rari; qualcuno è stato riconvertito per le potature dei lecci negli ambienti urbani ed è sempre un piacere far frutto del loro sapere. Servirà sicuramente computare le piante, mappare un territorio e magari applicare quelle regole di potatura che possono essere comprese veramente da chiunque.

Allora, occorre fornire ai cittadini culture tecniche adeguate per tutelare le nostre “foreste”; si dovrebbe chiedere alle istituzioni, con la forza della gentilezza, un nuovo modello di sviluppo che non perseveri verso l’abbandono di questo patrimonio.

Oggi esistono piccole realtà tecniche di supporto all’olivicoltura di qualità, ma di potatura ce n’é proprio poca; per cui ho pensato, come tecnico, di offrirmi alle vostre curiosità ed ho intenzione di promuovere questa pratica nelle scuole, nelle amministrazioni e tra le associazioni sensibili.

La potatura è una pratica lenta che può essere tranquillamente annoverata nello stile della “decrescita felice” auspicata dal filosofo francese Serge Latouche; per cui se essa può contribuire davvero al piacere collettivo benvenga tra i nostri uliveti.

articolo del 16/9/2012 per Fondazione Terra d'Otranto

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