Te la Mmaculata la prima ffrizzulata, te la Cannilora l'ultima frizzola ( prov. Salentino)
Quelle che i salentini chiamano pittule corrisponderebbero agli zippuli calabresi e ai patt’ del materano. In ogni caso, le accomunano la forma, la preparazione e gli ingredienti, l’importante non chiamarle frittelle. Sono piuttosto una merenda da antipasto meridionale, forse d’origine araba.
Queste palline di pasta lievitata sono devolute ad friggere nell’olio d’oliva prima di passare sul nostro palato. L’impasto è senza dubbio una base per la creatività dei cucinieri che sbrigliano il loro estro dai giorni della seconda decade di dicembre fino a quelli della candelora.
Basta qualche pittula e un buon bicchiere di compagnia per passare una serata, soprattutto se farcita con cavoli mezzi cotti, pomodori secchi e olive nere denocciolate.
Ad ogni popolo, dunque, la sua pittula dorata da artigliare lì per lì, ancora calda per non perdere la priorità acquisita, prima che diventi fredda e gommosa.
A Brindisi, le pittulicchie, si preparano la vigilia dell’Immacolata (8 dicembre), nel Salento la prima frittura cade insieme al vino novello l’undici di San Martino.
A Taranto amano mangiarle cosparse di grani di zucchero, vincotto di fichi e miele, ma in Calabria si fa di peggio intingendola nella focosa nduja.
“Te minte quatthru pittule intru allu piattu” (ti pone quattro pittule nel piatto) è un detto riferito a chi parla più del dovuto e a sproposito facendoti toccare il cielo, con esaltato ottimismo e poi nel suo quotidiano non concretizza alcunché buono.
La massima si riferisce alla pittula proprio per la reperibilità dei suoi ingredienti, farina, lievito e acqua e la sua preparazione. Nonostante ciò sembra tutt’altro che facile da realizzare
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