venerdì 10 giugno 2016

L’Amarcord del grano


Portu curuna ma Re nu suntu Te fili t’oru me estu te giugnu, portu furtuna e mundu mantegnu, e nu su fiju te lu patreternu.

A fine maggio, dopo la spigatura e la maturazione acquosa, quando la cariosside inizia a strutturarsi meglio, si può avanzare una previsione tecnica sul risultato della nostra semina. Ogni varietà di grano duro si definisce precoce e tardiva proprio in base alla sua fase fenologica.

Con queste scrupolose valutazioni si preparavano un tempo, le semine e le mietiture. La filiera produttiva del frumento rientra nella cerealicoltura, un settore che nel nostro territorio riveste un’importanza vitale.

Il Salento con poco meno di ventimila ettari di seminativo non potrebbe certamente confrontarsi con il tavoliere delle puglie, considerato il “granaio d’Italia”, ma fa la sua buona parte e contribuisce a rendere la Puglia, la prima regione in Italia produttrice di grano duro. Il Salento rurale è attento a quella che si definisce innovazione, alle nuove tecniche produttive senza rimetterci la buona pratica agricola e senza accasermare nel dimenticatoio la sua antica e passionale tradizione.

Il fine è produrre e trasformare, derivare sapientemente l’eredità culturale dei suoi avi, elevando l’impegno di fornai, pastai e pasticceri in raffinate gastronomie da gourmet. Impossibile da scordare il dolce barocco del pasticciotto o dei mustazzoli, i purceddrhuzzi e i taraddrhi pepati, le friseddrhe, le puccie e lu ranu stumpatu vere e proprie opere dei sensi tipicamente salentini.

Ogni ricetta detona di sapori e rimanda alla armonia dell’arte tanto da farti comprendere che non esistono altri cereali capaci di legarsi così intimamente alla speranza e all’abbondanza come questa coltura. Una scorta di farina da grano duro era l’attesa per ogni famiglia. Il rito mensile di fare il pane era la fase decisiva per ogni sussistenza per badare a saturare la dispensa di derivati del grano.

Si conservava tutto con vera cura e poi si offriva la “crianza”, una sorta di dono, ai vicini che attendevano con ansia. Tra il vicinato c’era collaborazione reciproca, quando la “cotta” era eccessiva. Passavano alcuni attimi dedicati alla preparazione della pasta madre, "allu llatu", si avvisava il fornaio affinché prenotasse la data per la cottura e poi giungeva quel dolce risveglio al primo chiarir del giorno dedicato all’agognata “muddrhica”.

Si respiravano movimenti lenti seguiti dal profumo dell’impasto della farina appena ritirata dal mugnaio ed eravamo pronti per la “scanatura”, la vera lavorazione manuale, scandita dal ritmo del cigolio dei piedi della “mattira bbanca”. La scanatura era il training che ti sincronizzava agli altri per riconoscere la bontà di ogni lavorazione, quindi, valutare tutte le forze dell’impasto ottenute dalla farina, quali l’elasticità, la robustezza o la malleabilità.

Altri tempi? Non lo diremmo proprio, la storia è ciclica. L’auto produzione sembra si ripeti tra le case salentine per riscoprire e ripercorrere un altro movimento atto a scegliere le antiche sementi. Non sono lontani i tempi da quando Nazareno Strampelli nel 1915, forse senza conoscere le leggi di Mendel, selezionò per gli Italiani una nuova varietà di grano duro, quella che avrebbe raddoppiato la produzione, rivoluzionando gli archetipi di un’agricoltura superata. In quel tempo pare si contassero in Italia almeno 250 varietà di frumento duro.

Lo studioso volle poi dedicare la sua varietà a un ministro del Regno, il Senatore Cappelli, che lo aveva incoraggiato negli studi. Gli incroci successivi e la creazione di varietà più produttive e a culmo basso con l’ausilio di tecniche moderne sostituirono il Cappelli.

Queste cultivar furono introdotte negli anni 70 nel pieno boom dell’agrochimica. In realtà, Strampelli, per creare la sua varietà, avrebbe appreso tanto dalla cultura di un grano d’origine tunisina, chiamato Jenah Rhetifa o khala, quindi, non era autoctona, tanto meno salentina, come molti credono.

Nel Salento, già dal settecento, si coltivava la varietà rustiche Russarda e Capinera, più conosciute rispettivamente come Russa e Gniura proprio per il colore della loro spiga e l’ottima resistenza alle patologie vegetali. E su questi due attributi che dovremmo soffermarci di più, per riconsiderarle come lo starter per il ripristino della biodiversità.

Queste varietà per certi aspetti sarebbero perfino somiglianti a quelle che naturalmente si seminavano nella Mezzaluna fertile dalla Mesopotamia all’Egitto. Sarebbe, forse, quell’area calda e fertile compresa tra Iraq e Turchia meridionale, individuata da qualche studioso come “centro d’origine”, culla della civiltà e della biodiversità. Sembrerebbe quasi come se i caratteri della diversità divenissero più marcati con l’aumentare dell’irraggiamento solare.

È una relazione che ci spinge a esplorare tra le culture quello che si è perso nei millenni, con lo sviluppo della monocoltura industrializzata, per registrarlo nel cosiddetto gene bank o banca dei semi che la FAO aveva promosso già dagli anni sessanta. Mi hanno raccontato che quando la Russarda, durante la maturazione piena, ripiegava la spiga, era il momento ideale prossimo per una buona raccolta.

Ciò era considerato un evento così serio e importante tanto che tra le masserie si usava spesso dire:“ La spica vacante tene la capu azzata”; con esso si definiva sempre quel carico di peso e di proteine, la buona qualità a sfavore della quantità per esprimere la festa delle messi di giugno.

Oltre a queste varietà ricordate, il grano tenero ne annoverava nel Salento molte altre tra cui: la Cuciulecchia, priva di reste, il Maiorcu con granella grossa, la produttiva Mentana, quello meno pregiato perché a granella piccola, Cannellinu o quello simile all’iraniano Khorasan chiamato Saragolla oggi così preferito dai Gruppi d’Acquisto Solidale.

Dovremmo seguire attentamente la semina esemplare di chi quotidianamente s’impegna a rivalutare l’energia germinativa e la purezza del grano. Ci sono molti giovani interessati, il passo è giusto, la tradizione c’è ancora e ricordare è la parola d’ordine.

Ricerca realizzata per il Calendario contadino 2015 per gli amici della comunità Banca dei Semi Salentina

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